La meravigliosa ed irripetibile inutilità


grazie a Chiara G ho letto queste bellissime parole

La meravigliosa ed irripetibile inutilità
Quando voglio tirarmi su il morale e passare piacevolmente il tempo, vado in via Firdusi, dove il signor Firdusi vende tappeti persiani. Il signor Firdusi, che ha trascorso una vita a contatto con l’arte e la bellezza, guarda alla realtà circostante come a un film di serie B proiettato in un vecchio cinema pidocchioso. “E’ solo questione di gusto” mi dice. “L’essenziale è aver gusto. Se un po’ più di gente avesse un po’ più di gusto, il mondo sarebbe diverso. Tutti gli orrori”, lui li chiama orrori, “come menzogna, tradimento, furto, delazione si possono invariabilmente raggruppare sotto un unico denominatore: cose del genere le fa chi manca di gusto”. E’ convinto che il paese ce la farà a sopravvivere e che la bellezza sia indistruttibile. “Si ricordi”, mi dice srotolando l’ennesimo tappeto (sa che non lo comprerò, ma vuole almeno rallegrarmi mostrandomelo), “che quel che ha permesso ai persiani di restare persiani per duecentomilacinquecento anni, quello che ci ha permesso di restare noi stessi malgrado tante guerre, invasioni e occupazioni, è stata la nostra forza spirituale, non quella materiale; la nostra poesia, non la tecnica; la nostra religione, non le fabbriche. Che cosa abbiamo dato al mondo? La poesia, la miniatura e il tappeto. Come vede, tutte cose inutili dal punto di vista produttivo. Ma attraverso di esse ci siamo espressi. Abbiamo dato al mondo questa meravigliosa ed irripetibile inutilità. Abbiamo dato al mondo qualcosa che non ha reso la vita più facile, però l’ha abbellita, sempre che una distinzione del genere abbia senso. Per noi, per esempio, il tappeto è un bisogno vitale. Lei srotola un tappeto in mezzo a un deserto ardente, ci si sdraia sopra e si sente come in un prato verde. Sì, i nostri tappeti ricordano i prati in fiore. Vi si vedono fiori, giardini, laghetti e fontane. Tra i cespugli si aggirano pavoni. Un tappeto dura per sempre, un buon tappeto mantiene i colori per secoli e secoli. Quindi, anche vivendo n un deserto spoglio e monotono, lei vive in un eterno giardino che non perde mai colori né freschezza. Può anche sbizzarrirsi ad immaginare i profumi, il mormorio del ruscello, il canto degli uccelli. E allora si sente bene, si sente importante, più vicino a cielo: si sente un poeta”.

Ryszard Kapuscinski, Shah-in-Shah (1982)


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